di Pietro Marino *


Sull’ampia liscia parete di un palazzo su via Roberto da Bari all’angolo con via Abate Gimma, appaiono da sabato scorso, ogni sera dalle 18 alle 21 sino al 31 gennaio, grandi immagini in proiezione muta. Come la Gazzetta ha già annunciato, si tratta di una rassegna di video di 6 artisti pugliesi raccolti sotto lo stimolante titolo «Video ergo sum».

Se non sbaglio, è la più consistente iniziativa di arte «a cielo aperto», tentata a Bari, ma forse in tutta la Puglia, come risposta alle restrizioni imposte dal covid a musei e mostre. Esigenza di arte urbana che ho segnalato sul giornale sin dalla primavera del 2020, alternativa alla più collaudata arte «on line».

Certo, le modalità di fruizione per strada sono piuttosto precarie e fuggevoli, dal momento che non sono pensabili «assembramenti» ed è improbabile sostare per la mezz’ora necessaria alla visione dei video, tutti più o meno brevi (ripetuti in loop per tre ore). Ma è importante il segnale di presenza della voglia e forza d’immaginario nella vita pubblica della città in questo tempo di disagio.

Un immaginario non banale né decorativo, impegnato fra sogno e realtà su problemi dell’oggi. Come ha tenuto a sottolineare Francesco Paolo Sisto, ben noto come avvocato e come parlamentare, ma anche attento collezionista d’arte moderna e locale, che ha promosso l’iniziativa con la sua associazione culturale FPS. Ne ha affidato la cura ad uno dei suoi artisti preferiti, Giuseppe Teofilo. Il quale ha messo insieme tre autori di consolidata esperienza e tre giovani segnalati dall’amico artista Piero Di Terlizzi, perché sortiti dall’Accademia di Foggia da lui diretta. 

Ecco qualche appunto sulle sei opere, col conforto delle note critiche di Nicola Zito (viste a casa sul pc, complete delle loro voci e colonne sonore che sulla strada sono state soppresse per non disturbare gli abitatori dei palazzi).

Il video di maggiore respiro spettacolare è quello di Raffaele Fiorella, «Le cose» (del 2016, è stato visto solo per due giorni a Bari nell’Anchecinema, per la mostra curata da Christian Caliandro chiusa subito dopo l’inaugurazione nell’ottobre scorso): animazione in disegno digitale geometrico e metafisico di oggetti volanti, forme astrali, razzi spaziali, palazzi e alberi scheletriti visitati da un dechirichiano personaggio senza volto.

Sono esaltati dalla grande dimensione, e più funzionali all’emozione immediata, i misteriosi lampeggiamenti e baluginii spaziali, le apparizioni e sparizioni di ambienti di Ignazio Fabio Mazzola, visti in diverse occasioni. Non giova invece la perdita della voce al poetico video 2020 di Maria Grazia Carriero, che declinava «parole al vento, desideri e speranze» sui percorsi in desolati paesaggi lucani di un viandante in maschera di inquietante «Portafortuna» sortito dal Carnevale di Teano. 

Dei tre «foggiani», sta nella scia di un ottocentesco simbolismo macabro-erotico il film di Giovanni Spione, con una giovane donna che disegna nudi mortuari e bacia scheletri. Avrebbe bisogno di essere seguita in tempo lungo la giornata solitaria di un anziano filmata da Giuseppe Arcieri, che fra un caffè fatto in casa e una sosta su panchina medita su Bartleby, lo scrivano di Melville che «preferisce di no».

Il suo corto s’intitola «C’era una volta il covid». Finale adatto, anche e di più, alle ombre riprese in negativo e sfumate da Pasquale Palladino, di persone che ci ricordano di incontri, di contatti, di baci ora perduti o negati. 

Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno

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