Assolta da ogni accusa Francesca Panzini, già dirigente del settore Finanze del Comune di Terlizzi, imputata nel procedimento sui presunti illeciti nella gestione degli introiti dei tributi comunali. La Corte d'Appello ha ribaltato la decisione dei giudici di primo grado che l'avevano condannato a 3 anni e 6 mesi di reclusione.
In particolare, i giudici della Corte d'Appello (presidente Blattmann D'Amelj) hanno scagionato Panzini «per non aver commesso il fatto» dall'accusa di peculato e «perché il fatto non sussiste» da quella di abuso di ufficio.
È stata, invece, rideterminata (da5 anni a 4 anni e 3 mesi di reclusione per la prescrizione di una delle contestazioni) la condanna a carico di Vito Redavid, presidente del consiglio d'amministrazione dellaCensum s.p.a., la aggiudicataria del servizio di riscossione. Per lui, dichiarato incapace di contrattare con la pubblica amministrazione in perpetuo - nei suoi confronti, inoltre, sono state dichiarate estinte per prescrizione le condotte dei versamenti tardivi dei tributi - è stata confermata la condanna a risarcire le due parti civili, ilComune di Terlizzi e l'associazione Città Civile.
Per la Procura della Repubblica di Trani i due si sarebbero appropriati dei versamenti dei tributi locali destinati a Palazzo di Città per un totale pari a 1,2 milioni di euro. L'inchiesta risale a dieci anni e portò all'arresto dei due imputati. «Era il 9 maggio 2013 - scrivono in una nota i difensori di Panzini gli avvocati Roberto Eustachio Sisto e Angelo Loizzi dello Studio Fps- quando Panzini fu posta ai domiciliari con le accuse di concorso in peculato, tentata concussione oltre a una serie di casi di abuso di ufficio.
Ci sono voluti di dieci anni per ristabilire quella verità che il Riesame di Bari e la Cassazione dopo avevano, però, immediatamente accertato».I due organi giudiziari, infatti, «avevano annullato l'ordinanza cautelare per insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza», hanno spiegato i due legali.
«Dieci anni di inaudite mortificazioni, personali e professionali, per un dirigente pubblico che ha sempre svolto con rigore e passione il proprio lavoro. Nessuna assoluzione - è scritto - potrà azzerare la lunga sofferenza patita da Panzini, ma la sentenza della Corte di Appello di Bari, le restituisce pubblicamente la fierezza e la dignità».
Due condizioni umane «che, in questo lungo tempo, nella consapevolezza di avere sempre rispettato le regole e con la grande fiducia nella giustizia, dentro di sé non ha mai perso». I difensori Eustachio Sisto e Loizzo concludono esprimendo «grande soddisfazione sotto il profilo umano, prima ancora che professionale».